Due persone con tute protettive blu, guanti e mascherine si chinano su una donna sdraiata nell’unità d’isolamento per pazienti aperta (in inglese Patient Isolation Unit, PIU). Accanto, a terra, c’è un dispositivo di monitoraggio e ventilazione. Un pilota regge un ombrellone, assicurandosi che la donna non sia abbagliata dal sole. Dopo 20 minuti e numerose mosse prestabilite ed eseguite con precisione, il medico di volo della Rega Laura Arheilger richiude la cerniera della PIU e la disinfetta dall’esterno.
In isolamento nel jet Rega
Ora la paziente affetta da Covid-19 e molto contagiosa è pronta per essere rimpatriata in Svizzera, ben isolata nella PIU. Il medico di volo Laura Arheilger e l’infermiera di cure intensive Barbara Locher si tolgono con cura gli indumenti di protezione, seguendo una sequenza prestabilita. Poi l’equipaggio della Rega imbarca la paziente nel jet ambulanza, spingendola sulla rampa. Poco dopo, il jet Rega decolla verso la Svizzera. Dopo aver fatto scalo in Brasile e alle Canarie, atterra all’aeroporto di Berna-Belp, da dove la paziente viene trasferita in ambulanza all’Inselspital di Berna. Trasporti del genere possono essere eseguiti in modo sicuro ed efficiente grazie all’esperienza e alle capacità innovative della Rega.
Prima dell’avvento della PIU
Per trasportare pazienti con malattie molto contagiose, prima dell’invenzione della PIU gli equipaggi della Rega dovevano indossare tute di protezione per tutto il volo. Anche i piloti nel cockpit stavano ai comandi del jet portando indumenti protettivi e maschere respiratorie. Sull’aereo non si poteva bere o mangiare. Ciò che per le missioni brevi era irrilevante, durante quelle lunghe diventava un problema, anche perché, alla fine di questi rimpatri, il jet andava laboriosamente disinfettato e arieggiato e durante questo periodo non poteva essere usato per altri pazienti.
Ispirata dall’epidemia di Ebola
Nel 2014, si susseguivano notizie su un’epidemia di Ebola di proporzioni senza precedenti nell’Africa occidentale. Ad agosto, l’Organizzazione mondiale della sanità OMS dichiarò che l’epidemia rappresentava una situazione d’emergenza sanitaria di rilevanza internazionale. La situazione mostrò chiaramente che, in pratica, fino a quel momento, a livello mondiale non esisteva un concetto affidabile per il trasporto aereo di pazienti molto contagiosi. Il primario della Rega Roland Albrecht afferma: «Da sempre riteniamo che, in caso d’emergenza, sia nostro compito rimpatriare in modo sicuro ed efficiente anche questi pazienti per ulteriori cure mediche». Questo doveva quindi essere possibile non solo per l’Ebola, ma anche in casi futuri simili. La Rega ha quindi cercato nuove soluzioni.
Isolamento totale durante il trasporto
L’obiettivo della Rega era riuscire a isolare i pazienti contagiosi in un involucro protettivo ermetico per tutta la durata del trasporto, in modo da escludere il rischio di contagio per tutte le persone coinvolte e consentire all’equipaggio di spostarsi nel jet senza tute protettive. Ciò che sembrava semplice, nella fase d’attuazione si è rivelato complesso: assistere il paziente durante il volo senza aprire l’involucro protettivo e senza interrompere l’isolamento, garantire l’afflusso d’aria o le conseguenze di un repentino calo di pressione in cabina se l’aria nell’involucro protettivo chiuso si espande improvvisamente, erano solo alcune delle sfide da affrontare durante la fase di sviluppo.
Il banco di prova durante l’epidemia di Ebola
La costruzione vera e propria era solo una parte del concetto di protezione. Altrettanto importante era e rimane la procedura per isolare e maneggiare la PIU durante l’uso. Dopo mesi d’intenso lavoro per lo sviluppo, numerosi addestramenti e test, il 19 febbraio 2015 si è giunti al banco di prova: per la prima volta, Roland Albrecht e il suo team hanno trasportato in sicurezza nella PIU una paziente con sospetto contagio da Ebola da Freetown (Sierra Leone) a Londra. L’anno successivo, l’epidemia di Ebola si è affievolita, ma non per questo la PIU non serviva più. «Non abbiamo sviluppato il concetto solo per il virus Ebola, ma pensando alle malattie molto contagiose in generale. Il trasporto di pazienti contagiosi fa parte delle normali attività operative della Rega e più volte l’anno trasportiamo pazienti affetti da tubercolosi aperta, molto contagiosa », spiega Roland Albrecht.
All’inizio del 2020, con la diffusione del nuovo coronavirus, la Rega ha potuto attingere alla sua esperienza con la già collaudata PIU. Alla fine di febbraio 2020, i suoi equipaggi hanno seguito una formazione speciale per il coronavirus e, dove necessario, sono state adattate ed esercitate le procedure. Dall’inizio della pandemia, gli equipaggi dei jet Rega hanno trasportato in una PIU oltre 400 pazienti affetti da coronavirus. Per Roland Albrecht, il bilancio è positivo: «Fin dall’inizio, il concetto ha funzionato bene. Inoltre, negli ultimi due anni abbiamo migliorato continuamente le procedure e i dettagli».
Si lavora sul prototipo della PIU 2.0
Grazie all’esperienza acquisita durante centinaia di missioni, Roland Albrecht e il suo team hanno sviluppato anche nuove idee su come ottimizzare ulteriormente la PIU. L’attenzione è rivolta a un uso ancora più semplice e a una maggiore flessibilità in missione. Al momento si sta realizzando il prototipo della PIU 2.0 secondo le direttive del team di sviluppo e i progetti degli ingegneri della Rega. Roland Albrecht intende effettuare le prime missioni con la nuova PIU, che permetterà di rimpatriare pazienti con malattie molto contagiose in modo ancora più efficiente e sicuro, entro l’autunno 2022.
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PDF: Illustrazione «Operazioni jet»